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Indice degli articoli pubblicati dal gennaio 1997 al dicembre 1999
Anno 1 numero 1 1997
Volevi papà? Arriva mamma di Massimo Papini
Presunti minorenni, attenti di Ivan Nicoletti
Vittime, insegnanti e bulli di Andrea Smorti
I paradossi dell’auxologia letteraria di Marino Biondi
Pubertà precoce, cosa fare di Marta Brachi e Luca Tafi
Quando il testicolo non vuole scendere di Claudio Roberto Rosati
Soprattutto all’allievo difficile di Stefano Zani
anno 1 numero 2 1997
L’eterno mito della statura di Ivan Nicoletti
Il padre non ha volto di Wanda Lattes
Futuro italiano di Stefano Casini Benvenuti
Mamme, balie e bambini di Graziella Magherini
Se la futura mamma fuma, beve… di Gherardo Rapisardi
Sport a scuola come in America di Corrado Candidi
Come crescono i gemelli di Monica Pittaluga e Paolo Parisi
Non c’è vita senza stress di Franco Materazzi e Claudio Rosati
anno 1 numero 3 1997
Identità e identità imitativa di Renata Gaddini
Dieta materna e sviluppo del bambino di Gherardo Rapisardi
L’adolescente allo specchio di Graziano Graziani
Il rischio droga del giovane fumatore di Silvia Bonino
Come muta il corpo con l’adolescenza di Ivan Nicoletti
Quando il pane non fa crescere di Luigi Greco
Il bambino nella storia degli adulti di Luciano Martini
Aggiornamento sul varicocele di Claudio Rosati
anno 2 numero 1 1998
Le mani della TV sul futuro dell’uomo di Pietro Pfanner
Nuove conoscenze sulla obesità di Francesco Morabito
Infanzia e crescita, ricordi di Stendhal di Fernando Tempesti
L’adolescente smarrito “nella selva oscura della vita” di Chiara Matteini
Quelle emozioni manipolate di Lodovico Benso
Per non cascare nel World Wide Web di Francesco Carnaroli
Sport giovanile personalizzato di Giorgio Carbonaro
Il software nel controllo della crescita di Ivan Nicoletti
anno 2 numero 2 1998
Stature fuori misura: normalità e patologia di Ivan Nicoletti
Le “infanzie” attraverso i secoli di Luciano Martini
Visioni di gioventù. Depressione e vocazione poetica di Graziella Magherini
Deve cambiare l’adulto o il palinsesto? di Mario Spezi
Scippatori e ladruncoli senza “patente” di Lodovico Benso
Grandi progressi per la salute del neonato di Gian Paolo Donzelli e Simone Pratesi
La parola ai giovani a cura di Lodovico Benso e Antonella Massia
Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli
anno 2 numero 3 1998
Il filo rosso che unisce nonni e nipoti di Ada Fonzi
Quel legame fra crescita e invecchiamento di Luca Tafi
L’ormone della crescita nei bambini normali di Ivan Nicoletti
Quando non si può vivere in famiglia di Luigi Goffredi
Il rapporto fra nascita e pubertà di Gherardo Rapisardi
Il malato “fatto a pezzi” di Mimma Rolla e Deanna Belliti
Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli
anno 2 numero 4 1998
Cresce meglio chi è amato davvero di Adolfo Pazzagli e Benedetta Guerrini Degli Innocenti
Anche l’obesità è regolata da geni specifici di Sergio Bernasconi, Katia Rossi, Lorenzo Iughetti
Come prevedere la statura adulta di Ivan Nicoletti
I danni mentali dell’abuso infantile di Graziano Graziani
L’elefante invisibile e i cacciatori di teste di Giuseppe Mantovani
Una malattia reale e un aggettivo di fantasia di Emiliano Panconesi
Note per la nuova famiglia
Il “cittadino non nato” di Luciano Martini
anno 3 numero 1 1999
Droghe, dagli anni sessanta ad oggi di Giuseppe Mercuriali
Come riportare all’aperto i bambini di Luciano Martini
Media statistica e realtà auxologica di Ivan Nicoletti
Piano d’azione per l’infanzia di Paolo Onelli
Allergie e intolleranze alimentari nell’infanzia di Alberto Vierucci
Padre e figlio: teatro, musica rock, computer intervista di Italo Dall’Orto al figlio Giovanni
Benedetto chi ti porta maledetto chi ti manda recensione
La parola ai giovani a cura di Lodovico Benso e Antonella Massia
Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli
anno 3 numero 2 1999
Educazione e sviluppo della sensibilità estetica di Graziella Magherini
La statura nel XXI secolo di Silvano Milani
I dolori addominali ricorrenti nel bambino di Monica Pierattelli
Affido familiare di Mara Giulietti
Una scuola per famiglie affidatarie di Luigi Goffredi
“Tabacco o salute” di Ivan Cortinovis
Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli
anno 3 numero 3 1999
Latte materno e salute dell’uomo di Gherardo Rapisardi
Malessere dell’infanzia e mondo dei grandi di Luciano Martini
Classici dell’auxologia di Lodovico Benso
La crescita di sei gemelli dalla nascita ai vent’anni di Gian Paolo Donzelli e Ivan Nicoletti
Sviluppo prenatale: la fase più importante della vita di Horacio Lejarraga
Chiarimento e immagini di sé di Rodolfo Fiesoli
La parola ai giovani a cura di Lodovico Benso e Antonella Massia
Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli
anno 3 numero 4 1999
La scuola e il disagio editoriale
Progetto genoma e cure genetiche di Francesca Torricelli
Il rapporto tra fratelli nella formazione del carattere di Francesco Carnaroli
Allattamento materno di Gherardo Rapisardi
Affidamento familiare: l’esperienza statunitense di Joan Vavrek
Osservare per prevenire e curare di Tito Baldini
I dieci “pezzi” amabili di Stefano Bolognini di Graziella Magherini
Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli
Il Giornale di aprile-giugno 2000
Indice
Il bambino DAI: diagnosi e cura di Franco Gallucci
Identità sessuale e identità di genere di Franco Bruschi e Laura Mori
Segni premonitori dei disturbi di apprendimento di Antonella Ciardi
Modello a 3 cicli di Ivan Nicoletti
Nuovi orientamenti dell’affidamento negli USA di Joan Vavrek
Dalla mano al computer di Ivan Cortinovis
Schede per l’orientamento sportivo: rugby di Marco Petranelli
L’Articolo:
FORMAZIONE E DISTURBI DELL’ IDENTITA’ DI GENERE NEL BAMBINO E NELLA BAMBINA
Franco Bruschi e Laura Mori
“Mi odio. Non voglio essere me. Voglio essere qualcun altro. Voglio essere una bambina”. Queste frasi pronunciate da un piccolo paziente di tre anni, in consultazione presso un Centro per lo Sviluppo dell’Identità di Genere, ci sembrano esprimere l’acuto stato di sofferenza e di spaesamento, simile alla “tristezza” di vivere all’estero degli emigrati, provato dai bambini che soffrono di quello che, a partire dagli anni ’80, è entrato nella classificazione psichiatrica ufficiale come Disturbo di Identità di Genere nell’infanzia.
Prima di addentrarci nell’attualità del problema ci sembra interessante notare come la difficoltà della scelta sessuale sia descritta fin dall’antichità. Possiamo ricordare, ad esempio, la drammaticità del dover rinunciare alla completezza sessuale espressa nel mito dell’androgino nell’antropologia fantastica del Simposio di Platone, dove gli androgini sono rappresentati come esseri sferici bisessuali. Un loro eccesso di superbia fece sì che gli dei, per punirli, li dividessero in due: “Ognuno di noi è dunque la metà di un umano resecato e mezzo com’è al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però sempre è in cerca della propria metà….”. Così Platone raccontava la differenziazione sessuale. Anche nel mito di “Tiresia e i serpenti” secondo Apollodoro il problema alla radice è un attacco di rabbia, una sensazione impotente di non poter riconoscere nella coppia, nel viluppo dei serpenti, chi penetra e chi è penetrato, chi contiene e chi è contenuto, chi è dentro e chi è fuori. Che una separazione sia all’origine della differenziazione sessuale è d’altronde presente anche in ambiti culturali diversi e la testimonianza che ne fa la Bibbia nella creazione-nascita di Eva dalla costola di Adamo ne è un esempio.
L’attualità di questo tipo di disturbo è collegabile ai mutamenti culturali nella nostra società che ci hanno reso consapevoli dell’incremento del numero di persone che fin dall’infanzia soffrono di problemi di identità di genere, che una volta erano considerati rari e analizzati solo in ambito psichiatrico.
E’ stato lo psicoanalista americano R. Stoller, che sin dagli anni sessanta ha iniziato a studiare bambini transessuali e adolescenti con errata attribuzione di genere alla nascita, a postulare l’esistenza della identità fondamentale o nucleare di genere (core gender identity) e a definire l’identità di genere come l’acquisizione conscia e inconscia di appartenere al proprio sesso e non all’altro. Si tratta cioè di un sistema complesso di credenze riguardo a se stessi: una percezione della propria mascolinità o femminilità. L’identità di genere è distinta dal ruolo (o scelta) di genere (gender role) che è costituito dall’assunzione di quei comportamenti che ogni società attribuisce ad un sesso piuttosto che ad un altro.
Come si forma l’identità di genere? Sono coinvolti vari fattori genetici e ambientali, intrapsichici e relazionali:
1. le disposizioni innate a livello cromosomico ed endocrinologico, tenendo però presente che è l’interrelazione tra tali forze biologiche e i fattori ambientali che determina il comportamento;
2. l’assegnazione del sesso alla nascita in base all’aspetto dei genitali esterni ;
3. le differenze comportamentali innate legate al sesso;
4. le sensazioni corporee del bambino, soprattutto a livello delle zone genitali.
Atteggiamento dei genitori.
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, fin dal primo riconoscimento (o dall’assegnazione) dell’identità sessuale del bambino, i genitori provano sensazioni differenti riguardo ad un neonato maschio o ad una neonata femmina.
Possiamo dire che l’identità di genere inizia con una preconcezione nella mente dei genitori, dipendente dalla loro personalità, dalla loro relazione, dalla composizione della famiglia, dalle loro aspettative e che influenza l’atteggiamento nei confronti del nascituro ed il ruolo che assegneranno al suo corpo e al suo genere.
Lo psicoanalista francese André Green (1985) considera l’attribuzione inconscia di un sesso al bambino da parte dei genitori come il primo tra gli organizzatori dell’identità sessuale. Tale attribuzione è strettamente collegata alle dinamiche della coppia. Ad esempio la nascita di un bambino con una malformazione dei genitali impone ai genitori di tollerare l’ambiguità del genere sessuale, e può venire a mancare il normale processo di rielaborazione del proprio ruolo sessuale che si svolge in entrambi i coniugi quando diventano genitori.
Dopo la nascita sono di primaria importanza gli atteggiamenti e investimenti, soprattutto materni, nei confronti del sesso del neonato. La funzione che la madre assegna al proprio corpo, e alla propria sessualità nei confronti di se stessa e degli altri, e il ruolo che lei stessa assegna al corpo ed al sesso del bambino sono fattori determinanti nello sviluppo dello schema corporeo, dell’identità di genere e delle relazioni oggettuali del bambino. Simona Argentieri (1995) osserva come l’identità di genere sia basata su profondi vincoli tra mente e corpo ed è possibile osservare come determinate aree del corpo acquistino un senso mentale soprattutto in ordine alle stimolazioni che ricevono.
Secondo la moderna Infant Research esistono etichette inconsce (unconscious labels) che trasmettono, in modo molto sottile, in ogni interazione, il vissuto del padre e della madre riguardo alla femminilità o alla mascolinità (il modo di maneggiare – handling – il bambino, il tono della voce, il ritmo ecc).
I lavori ormai classici di M. Mahler e coll. (1975) e di Ph. Greenacre (1950) sulle modalità con cui – attraverso il contatto fisico con la madre – il bambino e la bambina pervengono ad una percezione di sé come essere dotato di un corpo e di un corpo sessuato, hanno evidenziato l’importanza che la percezione del proprio Sé corporeo assume nell’acquisizione del sentimento di identità. Essa viene attivata dal contatto fisico, tattile con la madre, e tutto lo sviluppo del bambino procede attraverso la separazione-individuazione dalla madre stessa. La Mahler descrive come il processo di separazione-individuazione sia difficoltoso e come il bambino e la bambina tendano a ritornare nell’orbita materna, vivendo in maniera conflittuale la percezione della propria indipendenza e il desiderio di ristabilire la fusionalità originaria. L’inizio della percezione dell’identità sessuale avviene, secondo la Mahler, nella fase in cui il bambino sperimenta in modo particolarmente acuto questo conflitto.
Criteri diagnostici del Disturbo di Identità di Genere nell’infanzia
Distinguiamo, quindi, l’identità di genere dalla identità sessuale, e vediamo come si può diagnosticare un disturbo di identità di genere nell’infanzia (D.I.G.)
Tipicamente il D.I.G. nell’infanzia si manifesta per la prima volta in età pre-scolare, e comunque, per porre questa diagnosi, deve essere stato evidente prima della pubertà. La letteratura che riguarda l’eziologia psicologica focalizza l’attenzione sul periodo pre-edipico, fra i 18 e i 36 mesi. Le prime manifestazioni cliniche compaiono fra i due e i tre anni e sono ben stabilizzate nel periodo edipico. Ciò che è compromesso è il ruolo (la scelta) di identità di genere (gender role): il bambino sa di essere maschio o femmina ma rifiuta l’appartenenza al suo genere e desidera, in maniera intensa e persistente, di essere del sesso opposto a quello anatomico, così come presenta rifiuto del comportamento, degli attributi e/o degli abiti del proprio sesso anatomico.
La diagnosi di D.I.G. nell’infanzia si basa su una profonda alterazione del normale senso di mascolinità o femminilità. Un semplice “comportarsi da maschiaccio” nelle bambine o un “comportamento effeminato” nei maschietti non è sufficiente. In rari casi, in entrambi i sessi vi può essere un rifiuto delle strutture anatomiche del proprio sesso. Il comportamento dei bambini con un D.I.G. non è analogo ad un comportamento transessuale. Il bambino, infatti, non si comporta esattamente come una femmina della sua età, ma propone una sua idea stereotipata di come può essere una femmina.
Mentre è raro un quadro completo e stabilizzato del D.I.G., è più comune la presenza di alcuni tratti o aspetti, più o meno transitori, nel comportamento del bambino. Spesso sono associate altre difficoltà emozionali e comportamentali. Studi catamnestici recenti indicano come, a lungo termine, il risultato più comune sia l’omosessualità o la bisessualità. Pochi bambini diventano transessuali o travestiti; solo alcuni eterosessuali.
Dal punto di vista psicodinamico, finora non è stata trovata con certezza nessuna causa singola dello sviluppo di un D.I.G. Abbiamo visto che al costituirsi dell’identità di genere concorrono fin dalle primissime fasi della vita una serie di fattori, sia biologici sia relazionali, e complessi processi interattivi, in gran parte inconsci e non verbali. Ad essi si aggiungono gli aspetti fantasmatici sia dei genitori che del bambino, in una trama spesso inestricabile. L’ipotesi più plausibile, su cui concordano quasi tutti gli studi più recenti, sembra sia quella di una eziologia multifattoriale che rende problematica l’identificazione del bambino o della bambina al suo sesso. Un significativo numero di disturbi di identità di genere nei bambini e nelle bambine ha una storia precoce di separazione traumatica o di indisponibilità materna. Di particolare importanza anche il fattore etiologico di una depressione materna. Sono ricorrenti in questo disturbo particolari costellazioni familiari caratterizzate da depressione, incapacità ad elaborare la perdita e il lutto, forti disarmonie coniugali, difficoltà riguardo al proprio genere sessuale e altro. Queste esperienze dei genitori possono venire internalizzate dal bambino e rappresentare elementi traumatici (dimensione transgenerazionale).
Alcuni autori (Coates et al., 1991) concorderebbero sul fatto che è necessaria la copresenza di molti fattori nel periodo pre-edipico per produrre un chiaro disturbo di identità di genere. Questo spiegherebbe anche la rarità di questa patologia. L’intenso e persistente desiderio di essere del sesso opposto rappresenterebbe così una soluzione a conflitti che risultano dai compiti contemporanei ed intrecciati dello sviluppo del periodo dai 18 ai 36 mesi: separazione-individuazione, definizione del genere (consolidamento dell’identità di genere, differenza del genere, apprendimento del ruolo di genere), e gestione dei derivati della fase anale, dell’aggressività e dell’ambivalenza. E’ stata suggerita una relazione fra la consapevolezza della separazione dalla madre e la reazione del bambino alle differenze dei genitali: più difficile e’ il processo di separazione-individuazione, maggiori saranno le reazioni del bambino alle differenze dei genitali. Il disturbo dell’identità di genere tende a configurarsi come un disturbo difensivo rispetto ad ansie di separazione.
I lavori scientifici sui disturbi di identità di genere riguardano soprattutto i maschi; pochi sono i lavori riguardanti le bambine: non sappiamo se la ragione è una minor frequenza del disturbo nelle bambine oppure se questo disturbo sia meno allarmante a livello sociale. Viene dato per scontato che la bambina soffra per l’invidia del pene e che in alcune fasi della sua vita aspiri ad essere un maschio. Può darsi che la minore casistica femminile sia legata alla minore preoccupazione che suscita nei genitori, negli insegnanti ecc. una bambina che desidera essere maschio e si comporta come tale, che non un bambino che desidera essere femmina e assuma comportamenti femminili.
Vorremmo concludere sottolineando come, al di là della sofferenza e della fragilità interiori di questi bambini (rilevabili a volte soltanto nell’indagine psicodiagnostica e nel rapporto psicoterapeutico), questo è un disturbo che coinvolge (e sconvolge) tutta la famiglia – fatto questo che costituisce un “trauma aggiuntivo” a questi bambini e dà spesso un carattere di urgenza alla richiesta di aiuto e di intervento da parte dei genitori. Un interessante film del regista Alain Berliner, La mia vita in rosa (Ma vie en rose, 1997) illustra bene il coinvolgimento e lo sconcerto che un bambino con un disturbo di identità di genere può provocare nell’intera famiglia e nell’ambiente circostante (scuola e vicinato) con il rischio di aggravare la solitudine e il senso di diversità del bambino, orientandolo verso una stabilizzazione del disturbo. Per questo motivo, secondo la nostra esperienza, è importante farsi carico terapeuticamente anche dei genitori, per assicurare loro uno spazio per pensare ai propri problemi come coppia e come genitori.Questo nell’ottica di non focalizzarsi sul sintomo ma di allargare la visione dei problemi relazionali con il figlio. Spesso lo stesso psicoterapeuta del bambino si occuperà anche dei genitori, qualche volta un altro psicoterapeuta.
Gli scopi e i modelli terapeutici da seguire ci sembrano i seguenti: 1. E’ importante aiutare i genitori a riconoscere e accettare il problema di identità di genere nel loro bambino, rompendo quel “circolo di segretezza” che di solito circonda questo tipo di problemi e di cui anche il bambino è vittima. 2. Data l’eziologia multifattoriale del disturbo, è importante promuovere una stretta collaborazione tra professionisti con diversi approcci, includendo il pediatra. 3. Non affrontare direttamente il disturbo di identità di genere come obiettivo terapeutico principale, ma aiutare il bambino e la famiglia ad elaborare processi di lutto, di perdita e di separazione (quelli reali e quelli simbolici), aiutandoli anche a tollerare incertezze, differenziazioni e cambiamenti. 4. Infine è di primaria importanza occuparsi del ruolo paterno, promuovendo la funzione “di cerniera”, di terzo, tra bambino e madre, creando uno spazio in cui crescere e differenziarsi. E’ da questa situazione tridimensionale che si può sviluppare la funzione simbolica del pensiero.
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Abstract
L’articolo tratta della distinzione fra identità sessuale e identità di genere. Quest’ultima viene anche denominata identità fondamentale o nucleare di genere. L’identità sessuale è successiva all’identità di genere. Questa si sviluppa fin dall’inizio della vita in seguito all’influenza di vari fattori genetici e ambientali, intrapsichici e relazionali; si stabilisce lentamente e gradualmente entro i primi due anni di vita, e si stabilizza in maniera irreversibile intorno ai tre-quattro anni.
L’identità di genere è l’acquisizione conscia e inconscia di appartenere al proprio sesso e non all’altro. E’ un sistema complesso di credenze riguardo a se stessi: una percezione della propria mascolinità o femminilità.
L’identità sessuale è un affinamento successivo del senso elementare di appartenenza a un genere; è un’elaborazione dei concetti di mascolinità e femminilità (di fronte alla semplice appartenenza al genere maschile o femminile). L’identità sessuale attiene quindi al livello delle vicissitudini pulsionali, con le necessarie componenti istintuali, da cui deriva l’agire, o il non agire, il comportamento propriamente sessuale.
La distinzione identità di genere e identità sessuale ha notevole rilevanza clinica.