turismo sessuale

Psicologia del turismo sessuale

Da qualche tempo è diventato di moda istituire giornate in memoria o di errori compiuti in passato o di qualche parte (svantaggiata) della società. Il 27 gennaio è toccato agli ebrei, l’8 marzo alle donne. Ma non ci si può lavare la coscienza celebrando i riti di un giorno, né tanto meno si può parlare di festa sapendo che ci sono organizzazioni, e non solo singoli individui, che usano giovani donne per soddisfare i loro impulsi più abietti.

Molti distinti signori partono per vacanze all’estero e, insieme all’albergo, prenotano una fanciulla. È così che si alimenta un nuovo crimine, il turismo sessuale. Si parte dall’Europa, dagli Stati Uniti e si arriva nel Sud-Est asiatico. La meta più in voga attualmente è la Thailandia.

Qui i “turisti del sesso” non sono solo pedofili, gente che vive di una forma di devianza sessuale cronica, ma soprattutto uomini “normali”, anzi spesso sono “uomini d’affari”. Le multinazionali per cui lavorano procurano loro oltre alle automobili, agli abiti, anche delle prostitute ancora bambine. Vi sono manager provenienti da Hong Kong e Singapore disposti a pagare dai trecento ai cinquecento dollari per una notte in compagnia. Le vittime sono bambine dai quattro ai sedici anni, tutte con una stessa caratteristica: la povertà. Vengono vendute dai genitori per pochissimi soldi e dalle baraccopoli passano alle strade. Qui finisce il loro viaggio e la loro vita, e sempre qui inizia il divertimento di certi turisti. Altre finiscono nei bordelli o anche in locali di lusso. Non c’è nulla da temere per i gestori, nessuno, non la polizia né le autorità del luogo, avrà qualcosa da opporre; la malavita gioca in casa.

A mettere in crisi il “turismo del sesso” ci aveva provato un’altra piaga, l’AIDS, ma la soluzione è stata subito trovata: la domanda è stata indirizzata verso bambine sempre più piccole. Lavorano come adulte queste fanciulle: sette giorni a settimana con pause di una sola notte al mese. Inevitabile ricorrere a psicofarmaci, a liquori, poi alla droga e infine al suicidio. Il detto più comune di Potpong, strada di Bangkok, è “Donne a dieci, vecchie a venti, morte a trenta”Se l’11 Settembre è stato un duro colpo per il “turismo sano”, così non è stato per il turismo sessuale. Il fenomeno dilaga come un’epidemia. Ogni anno nel mondo sono milioni i bambini costretti a prostituirsi, solo in India se ne contano mezzo milione, grave anche la situazione in Brasile, nello Sri Lanka , in Thailandia (dati UNICEF) e nelle grandi metropoli occidentali, New York, Parigi e Amsterdam. I profitti legati al commercio di queste giovani vite vanno alla grande e sono paragonabili solo con quelli dei narcotici.

Le vittime dello sfruttamento sessuale solo in rari casi riescono a dare voce alle loro sofferenze, in poche rimane viva la speranza che qualcosa possa cambiare, soprattutto poche riescono a conservare la loro dignità di esseri umani. Dalla loro parte ci sono le leggi internazionali; ma è troppo difficile far rispettare questi codici, individuare i responsabili, ascoltare i testimoni, raccogliere perfino le denuncie. Vi si oppone un meccanismo mostruoso prodotto dalla spaccatura e, al tempo stesso, dal legame fortissimo tra benessere crescente e miseria dilagante.