bimbo piccolo di un anno

Suggerimenti per crescere un bambino piccolo

Il primo anno di vita di un bambino è pieno di pietre miliari che ogni genitore dovrebbe aiutare il proprio figlio a superare. Dall’insegnare al vostro bambino a dormire da solo, all’addestrarlo al vasino e assicurarsi che sviluppi abitudini alimentari sane, può essere difficile per ogni genitore destreggiarsi tra queste nuove responsabilità e altri aspetti della sua vita.

Ma ci sono alcune cose che puoi fare per rendere il processo più facile per te e per il tuo piccolo.

Ecco cinque consigli per crescere il tuo bambino di un anno in modo che cresca felice e sicuro di sé!

Quali sono le sfide di crescere un bambino di un anno

Quali sono le sfide che devi affrontare come genitore di un bambino di un anno? Devi insegnare al tuo bambino le cose che deve sapere, come dormire da solo e usare il vasino.

Una delle cose più importanti è anche assicurarsi che mangi cibi buoni (non troppo) e beva molta acqua.

È anche importante non dire brutte parole intorno a loro, perché queste parole possono renderli arrabbiati o tristi.

Come insegnare a tuo figlio a dormire da solo

Il primo passo del processo è quello di stabilire una routine abbastanza rigida per andare a letto. Questo aiuterà il bambino ad essere abbastanza stanco per andare a dormire da solo.

Assicurati che la routine della buonanotte includa attività calmanti, come leggere o cantare. Puoi anche provare a usare un bagno, del latte e una coperta calda per confortarlo prima che vada a dormire.

La parte successiva di questo processo coinvolge i genitori che si sdraiano con i loro bambini mentre dormono su di loro, al fine di abituarli alla sensazione di essere soli al buio. Il tempo che ci vuole perché questo accada varia su base individuale, ma alcuni bambini impiegano giorni mentre altri settimane.

Un buon modo per capire se le cose stanno andando bene è quando non piangere quando li mettete a letto.

Questo può essere un processo difficile, ma è un processo che porterà grandi benefici al vostro bambino in futuro!

Insegnare al tuo bambino ad usare il vasino

Se non sei sicuro che il tuo bambino sia pronto a usare il vasino, ci sono alcune cose che puoi fare per aiutarlo ad abituarsi. La prima cosa è assicurarsi che veda altre persone o un animale usare il vasino. Puoi anche lasciarli sedere sul vasino in situazioni in cui non hanno bisogno di usarlo.

Come insegnare a tuo figlio le buone abitudini alimentari

Per prima cosa, assicuratevi di confezionare spuntini sani per il vostro bambino. Molti bambini in questi giorni sono abituati a prendere qualcosa di dolce o più salato del necessario. Prepara cose come tazze di frutta, yogurt e cracker con burro d’arachidi.

La seconda cosa da fare è assicurarsi che non mangino troppo degli snack malsani!

Infine, cerca di incorporare più frutta e verdura fresca nella loro dieta. Saranno più propensi a mangiare queste cose se vengono servite con salse o spruzzi, o se le mischiate in altri cibi.

Assicurati di limitare la quantità di soda che beve tuo figlio! Molte persone pensano che sia giusto che i loro figli bevano soda perché non ha molto zucchero, ma ci sono molti studi che dimostrano la pericolosità di queste bevande.

Se possibile evitate!

Come far smettere di piangere i bimbi

Il modo migliore per fermare il pianto del bambino è cambiargli il pannolino, dargli da mangiare latte o zuppa, o tenerlo in braccio. Potete anche allattarlo. E se questo non funziona, prova a cullare il bambino tra le tue braccia.

Se nessuna di queste cose funziona, potresti riuscire a calmarli cantando una canzone.

Educare i bambini è facile, si impara facendo

Crescere i bambini è facile, si impara facendo. Come genitore di un bambino di 18 mesi, posso dirvi che non è sempre facile, ma più pratica ed esperienza facciamo con i nostri piccoli, più facile diventa crescerli. Essere genitore di un bambino di un anno non significa solo insegnargli cose nuove come dormire da solo o usare il vasino da solo; anche le buone abitudini alimentari sono importanti!

Devi assicurarti che beva molta acqua e che mangi spuntini sani invece di dolci tutto il giorno. Va bene se di tanto in tanto mangiano anche qualche cibo malsano, perché questo insegnerà loro la moderazione negli anni futuri, quando cresceranno.

Una cosa che i genitori dovrebbero ricordare mentre crescono il loro bambino è di non dire mai mai le frasi come “stai zitto” perché il bambino userà queste parole quando è arrabbiato.

Crescere un figlio è un processo che i genitori attraversano con i loro figli e se si impara dai propri errori, ancora meglio!

una siringa e dei vaccini

Quali sono i vaccini obbligatori in Italia

Il decreto vaccini

Qualche anno fa i vaccini obbligatori in Italia erano di meno rispetto ai dieci di adesso.

L’emendamento emanato dal Governo, sentito il parere del Ministero della Salute, prende il nome di “decreto vaccini” che persegue l’obiettivo di controllare con più facilità, i flussi così rapidi di diffusione. Inoltre, tale decreto, riguarda i bambini che vanno dai 0 fino ai 16 anni.

Come vengono effettuati i vaccini

I vaccini obbligatori vengono effettuati nei centri vaccinali richiedendo un appuntamento.

Queste dieci vaccinazioni obbligatorie vengono effettuati in due punture, ovvero, la prima racchiude i primi sei obbligatori, gli altri quattro hanno una revisione triennale.

Vaccini permanenti e vaccini soggetti ad una revisione triennaleVaccini permanenti:

  • – la vaccinazione antipoliomielitica;
  • – la vaccinazione antidifterica; 
  • – la vaccinazione antitetanica; 
  • – la vaccinazione antiepatite B; 
  • – la vaccinazione antipertosse; 
  • – la vaccinazione anti-influenzale.

Vaccini soggetti ad una revisione triennale:

  • – la vaccinazione antimorbillo;
  • – la vaccinazione antirosolia;
  • – la vaccinazione antiparotite;
  • – la vaccinazione antivaricella.

Malattie e modalità dei vaccini

Antipoliomielitica: una malattia rara, ma comunque estremamente pericolosa. Potrebbe portare alla paralisi di tutto il sistema nervoso, nel giro di qualche ora; è indirizzata perlopiù ai bambini di cinque anni o comunque un’età di poco inferiore. In un caso su duecento la paralisi è incontrastabile.

Il vaccino prevede tre dosi nel primo anno di vita, rispettivamente, tre mesi, cinque e undici e due richiami che si effettuano all’età di sei anni e nell’età adolescenziale, solitamente accorpata con i vaccini contro la pertosse, tetano e difterite.

Antidifterica: è una malattia provocata da una tossina, prodotta a sua volta da un batterio, che va a scontrarsi con tutti gli organi e i tessuti del corpo umano. Tra questi anche il cuore.

Anche questo prevede tre dosi nel primo anno di vita (tre mesi, cinque e infine undici) e poi due richiami: il primo all’età di sei anni e in età adolescenziale, accoppiato con la poliomielite, e in età adulta con un richiamo ogni 10 anni, accoppiato con un vaccino trivalente.

Antitetanica: malattia infettiva prodotta da diversi batteri situati negli escrementi degli animali.

Stesso trattamento che abbiamo visto per i vaccini precedenti per l’età infantile. Anche qui, ci sono due richiami per l’età di sei anni e poi in quella adolescenziale, insieme a quello della poliomielite e poi un richiamo ogni dieci anni in età adulta, sempre accoppiato con un vaccino trivalente.

Antiepatite B: è una malattia virale che si trasmette con il sangue o con altri fluidi emessi dal corpo. Può causare cirrosi epatica e tumore al fegato. 
Anche qui le solite tre dosi in età infantile, tre mesi, cinque e infine undici. Non prevede richiami.

Antipertosse: è una malattia estremamente contagiosa che colpisce i bambini con un’età inferiore ai cinque anni. Un caso su duecento è letale per i bambini che hanno un’età inferiore al primo anno, mentre in un caso su tre, comporta gravi danni a livello neurologico.

Prevede le solite tre dosi in età infantile, due richiami a sei anni e in adolescenza, sempre abbinati con il vaccino contro la poliomielite. Infine, per l’età adulta, è previsto un richiamo ogni dieci anni, accoppiato ad un vaccino trivalente.

Anti-influenzale: un solo batterio che provoca molte infezioni ai bronchi e ai polmoni. Nei neonati si può andare incontro anche a meningiti.
La dose è prevista solo in età infantile nel primo anno di vita: al terzo mese, al quinto e all’undicesimo.

Antimorbillo: è una malattia contagiosa che vede come vittime principali i bambini compresi da uno a tre anni. Raramente sa essere una malattia letale, infatti ci sono 30-100 decessi circa ogni 100.000 pazienti affetti da questo virus.

Esiste sia una forma trivalente, insieme ai vaccini contro parotite e rosolia o quadrivalente, insieme ai vaccini contro rosolia, parotite e varicella. Ci sono due dosi, la prima effettuata nei 13 o 15 mesi di vita, l’altra ai sei anni.

Antirosolia: è una malattia che si manifesta in maniera più leggera rispetto alle altre, ma può essere pericolosa per il feto, al momento della gravidanza. 
Anche qui ci sono le due forme, trivalente e quadrivalente e poi le due dosi identiche previste dall’antimorbillo.

Antiparotite: colpisce perlopiù i bambini che vanno dai 5 fino ai 10 anni. Raramente ci sono complicazioni come la meningite e può colpire anche gli adulti, specie nei maschi, causando problemi anche nei testicoli.
Esiste una forma trivalente (morbillo e rosolia) e una quadrivalente (morbillo, rosolia e varicella). Le dosi sono due e sono le stesse per l’antimorbillo.

Antivaricella: è una malattia molto frequente per i bambini e pericolosa per gli adulti. In genere, dopo la prima infezione, si è immuni per il resto della vita.

Prevede una forma trivalente e quadrivalente. Ci sono due dosi: una nei 13-15 mesi circa di vita e un’altra a sei anni.

bambina che mangia

Ritardo della crescita nei bambini: quali le possibili cause?

Può accadere che, nonostante una madre fornisca al proprio bambino il nutrimento adeguato per affrontare la vita di tutti i giorni (sia che esso sia un neonato che un bambino autonomo), la risposta del soggetto sia negativa.

In questo caso si parla di ritardo della crescita nei bambini, un problema che può essere causato da problemi facilmente risolvibili o da malattie che richiedono interventi più particolari, ma che in ogni caso è necessario accertare subito in quanto il bambino che non cresce o che non assume peso nonostante un normale regime alimentare (o che, peggio, perde peso senza un’apparente motivazione) corre il rischio di vedere compromessa la propria salute.

In seguito, dunque, verranno affrontate le principali cause che sono legate a uno sviluppo lento del bambino.

Una malattia fastidiosa, ma poco pericolosa: la celiachia

Succede, talvolta, che delle mamme spaventate portino il proprio pargolo dal pediatra per chiedere spiegazioni in merito al mancato aumento di peso del bambino.

Al pediatra viene comunicato che il bambino mangia in modo regolare, assume frutta e verdura nelle quantità giuste e a pranzo viene nutrito con un piatto di pasta, necessaria per fornire carboidrati da sfruttare per svolgere tutte le attività quotidiane.
Talvolta il problema risiede proprio lì: nella pasta (e, più in generale, nei prodotti derivanti da grano, segale, orzo e altri cereali). Inoltre, soprattutto se il bambino lamenta costantemente diarrea e dolori addominali, la diagnosi diventa piuttosto semplice: si tratta di celiachia.

La celiachia è una malattia che si manifesta con l’infiammazione dell’intestino, causata dal glutine (una proteina complessa contenuta in molti cereali). L’infiammazione, oltre a provocare mal di pancia, causa anche il danneggiamento del sistema digerente, il quale non è più in grado di assumere alcun nutriente proveniente dalla dieta. Il risultato finale è che il bambino presenta un ritardo nella crescita.

La malattia non ha cura, ma i sintomi possono essere facilmente arginati: basta seguire una dieta a base di prodotti senza glutine.

Un problema non legato all’alimentazione: il deficit dell’ormone GH

Per crescere, di statura e di peso, non è sufficiente seguire un’ottima alimentazione: vi sono sistemi ben più sofisticati alla base del fenomeno, tra cui la presenza di alcuni ormoni.

Gli ormoni sono delle molecole biologiche in circolo nel nostro organismo che fungono da messaggeri, e mandano dei “segnali” agli altri organi. In particolar modo, tra gli ormoni coinvolti nella crescita ce n’è uno particolarmente attivo: il GH (Growth Hormone).

È un ormone che viene secreto in grandi quantità durante l’infanzia, per cui la sua carenza causa certamente un rallentamento nella crescita del bambino. Generalmente ciò che causa tale carenza è una disfunzione di ghiandole tra cui l’ipofisi, dell’ipotalamo o anche del fegato.

È importante determinare quanto prima possibile la presenza di questo problema poiché, se si evidenzia in tempo, è possibile somministrare al bambino una cura a base di GH sintetico, che possa assicurare un’adeguata crescita.

Cause indefinite, multiple e rare: tutto ciò che c’è da sapere

La crescita lenta nei bambini può essere causata da malattie molto particolari e misteriose, non sempre pericolose ma difficili da individuare con le comune tecniche e analisi. In particolare, tra le cause di un ritardo della crescita nei bambini vi può essere il morbo di Crohn, un’infiammazione cronica del sistema digerente le cui cause sono ignote e i cui sintomi possono essere attenuati seguendo un’alimentazione che contenga batteri probiotici, oppure insufficienza renale e diabete, talvolta ereditari.

Nei casi più estremi, invece, le cause di una crescita lenta nei bambini possono essere AIDS (comune nei Paesi del terzo mondo, in cui molte mamme sono sieropositive) o colite ulcerosa, i cui effetti possono in ogni caso essere limitati attraverso l’adozione degli specifici trattamenti.

frutta

Frutta a scuola per migliorare la salute

L’iniziativa “Frutta a scuola”, promossa da Mercato Agro Alimentare di Padova, Comune di Padova – Ufficio Ristorazione Scolastica, Camera di Commercio di Padova, Servizio Igiene Alimenti Nutrizione – ULSS 16, in collaborazione con i propri partner, mira ad educare le giovani generazioni a preservare la salute attraverso una corretta alimentazione ed il consumo di frutta (e verdura), accompagnati dalla pratica di un’adeguata attività fisica. Un’operazione dunque dal considerevole valore sociale-educativo che mira a raggiungere obiettivi di rilevante importanza.

Le azioni previste all’interno dell’articolato progetto interessano pertanto congiuntamente i due contesti in cui i ragazzi vivono tutti i giorni: la scuola e la famiglia. “Frutta a scuola” si rivolge in primo luogo agli alunni delle Scuole Secondarie di Primo Grado del Comune di Padova, aderenti all’iniziativa, attraverso attività educative che interesseranno tutto l’anno scolastico 2008-2009. Il progetto, a conferma dell’importanza educativa che l’iniziativa si propone, è stato inserito da molti degli Istituti coinvolti nel POF (Piano Offerta Formativa) predisposto per l’Anno Scolastico appena iniziato. A partire dal mese di ottobre sino al mese di dicembre 2008, le Scuole possono usufruire della fornitura gratuita di frutta fresca da parte del MAAP due volte alla settimana, da consumare come merenda, sotto il rigoroso controllo di natura scientifica effettuato da parte del SIAN – ULSS 16, che valuterà i resi quotidiani di frutta.

L’invito ai ragazzi a consumare la frutta proseguirà in ogni caso anche dopo dicembre 2008, grazie alla collaborazione del personale docente, avendo così l’opportunità di valutare l’efficacia stessa del progetto.

Gli alunni saranno inoltre i destinatari di molte altre interessanti iniziative. Avranno infatti l’opportunità di visitare il MAAP, di partecipare a speciali “feste della frutta” a scuola, di incontrare importanti protagonisti del mondo dello sport, che testimonieranno l’importanza di affiancare ad una sana e corretta alimentazione una adeguata pratica dell’attività sportiva. Inoltre, prima della conclusione dell’Anno Scolastico, i ragazzi potranno partecipare alla grande festa finale in Prato della Valle. Oltre alla scuola, l’altro canale di comunicazione coinvolto nel progetto è quello della famiglia, raggiunto attraverso la collaborazione del mondo della Piccola e Grande Distribuzione.

Le Associazioni di Categoria del Commercio, mediante i loro associati, e le Aziende partner della Grande Distribuzione partecipano infatti al progetto “Frutta a scuola” attraverso la predisposizione di spazi appositi dedicati presso i punti vendita della città, oltre a collaborare per molte altre attività che verranno poste in essere nel corso di tutta l’iniziativa. La cooperazione da parte del mondo della distribuzione avvalora ulteriormente la veicolazione del messaggio educativo, permettendo di estendere la visibilità del progetto e di raggiungere, oltre ai ragazzi, anche le famiglie e i consumatori della città di Padova.

turismo sessuale

Psicologia del turismo sessuale

Da qualche tempo è diventato di moda istituire giornate in memoria o di errori compiuti in passato o di qualche parte (svantaggiata) della società. Il 27 gennaio è toccato agli ebrei, l’8 marzo alle donne. Ma non ci si può lavare la coscienza celebrando i riti di un giorno, né tanto meno si può parlare di festa sapendo che ci sono organizzazioni, e non solo singoli individui, che usano giovani donne per soddisfare i loro impulsi più abietti.

Molti distinti signori partono per vacanze all’estero e, insieme all’albergo, prenotano una fanciulla. È così che si alimenta un nuovo crimine, il turismo sessuale. Si parte dall’Europa, dagli Stati Uniti e si arriva nel Sud-Est asiatico. La meta più in voga attualmente è la Thailandia.

Qui i “turisti del sesso” non sono solo pedofili, gente che vive di una forma di devianza sessuale cronica, ma soprattutto uomini “normali”, anzi spesso sono “uomini d’affari”. Le multinazionali per cui lavorano procurano loro oltre alle automobili, agli abiti, anche delle prostitute ancora bambine. Vi sono manager provenienti da Hong Kong e Singapore disposti a pagare dai trecento ai cinquecento dollari per una notte in compagnia. Le vittime sono bambine dai quattro ai sedici anni, tutte con una stessa caratteristica: la povertà. Vengono vendute dai genitori per pochissimi soldi e dalle baraccopoli passano alle strade. Qui finisce il loro viaggio e la loro vita, e sempre qui inizia il divertimento di certi turisti. Altre finiscono nei bordelli o anche in locali di lusso. Non c’è nulla da temere per i gestori, nessuno, non la polizia né le autorità del luogo, avrà qualcosa da opporre; la malavita gioca in casa.

A mettere in crisi il “turismo del sesso” ci aveva provato un’altra piaga, l’AIDS, ma la soluzione è stata subito trovata: la domanda è stata indirizzata verso bambine sempre più piccole. Lavorano come adulte queste fanciulle: sette giorni a settimana con pause di una sola notte al mese. Inevitabile ricorrere a psicofarmaci, a liquori, poi alla droga e infine al suicidio. Il detto più comune di Potpong, strada di Bangkok, è “Donne a dieci, vecchie a venti, morte a trenta”Se l’11 Settembre è stato un duro colpo per il “turismo sano”, così non è stato per il turismo sessuale. Il fenomeno dilaga come un’epidemia. Ogni anno nel mondo sono milioni i bambini costretti a prostituirsi, solo in India se ne contano mezzo milione, grave anche la situazione in Brasile, nello Sri Lanka , in Thailandia (dati UNICEF) e nelle grandi metropoli occidentali, New York, Parigi e Amsterdam. I profitti legati al commercio di queste giovani vite vanno alla grande e sono paragonabili solo con quelli dei narcotici.

Le vittime dello sfruttamento sessuale solo in rari casi riescono a dare voce alle loro sofferenze, in poche rimane viva la speranza che qualcosa possa cambiare, soprattutto poche riescono a conservare la loro dignità di esseri umani. Dalla loro parte ci sono le leggi internazionali; ma è troppo difficile far rispettare questi codici, individuare i responsabili, ascoltare i testimoni, raccogliere perfino le denuncie. Vi si oppone un meccanismo mostruoso prodotto dalla spaccatura e, al tempo stesso, dal legame fortissimo tra benessere crescente e miseria dilagante.

adolescenza

Il Nuovo Manifesto per l’infanzia e l’adolescenza

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Indice degli articoli pubblicati dal gennaio 1997 al dicembre 1999

Anno 1 numero 1 1997

Volevi papà? Arriva mamma di Massimo Papini

Presunti minorenni, attenti di Ivan Nicoletti

Vittime, insegnanti e bulli di Andrea Smorti

I paradossi dell’auxologia letteraria di Marino Biondi

Pubertà precoce, cosa fare di Marta Brachi e Luca Tafi

Quando il testicolo non vuole scendere di Claudio Roberto Rosati

Soprattutto all’allievo difficile di Stefano Zani

anno 1 numero 2 1997

L’eterno mito della statura di Ivan Nicoletti

Il padre non ha volto di Wanda Lattes

Futuro italiano di Stefano Casini Benvenuti

Mamme, balie e bambini di Graziella Magherini

Se la futura mamma fuma, beve… di Gherardo Rapisardi

Sport a scuola come in America di Corrado Candidi

Come crescono i gemelli di Monica Pittaluga e Paolo Parisi

Non c’è vita senza stress di Franco Materazzi e Claudio Rosati

anno 1 numero 3 1997

Identità e identità imitativa di Renata Gaddini

Dieta materna e sviluppo del bambino di Gherardo Rapisardi

L’adolescente allo specchio di Graziano Graziani

Il rischio droga del giovane fumatore di Silvia Bonino

Come muta il corpo con l’adolescenza di Ivan Nicoletti

Quando il pane non fa crescere di Luigi Greco

Il bambino nella storia degli adulti di Luciano Martini

Aggiornamento sul varicocele di Claudio Rosati

anno 2 numero 1 1998

Le mani della TV sul futuro dell’uomo di Pietro Pfanner

Nuove conoscenze sulla obesità di Francesco Morabito

Infanzia e crescita, ricordi di Stendhal di Fernando Tempesti

L’adolescente smarrito “nella selva oscura della vita” di Chiara Matteini

Quelle emozioni manipolate di Lodovico Benso

Per non cascare nel World Wide Web di Francesco Carnaroli

Sport giovanile personalizzato di Giorgio Carbonaro

Il software nel controllo della crescita di Ivan Nicoletti

anno 2 numero 2 1998

Stature fuori misura: normalità e patologia di Ivan Nicoletti

Le “infanzie” attraverso i secoli di Luciano Martini

Visioni di gioventù. Depressione e vocazione poetica di Graziella Magherini

Deve cambiare l’adulto o il palinsesto? di Mario Spezi

Scippatori e ladruncoli senza “patente” di Lodovico Benso

Grandi progressi per la salute del neonato di Gian Paolo Donzelli e Simone Pratesi

La parola ai giovani a cura di Lodovico Benso e Antonella Massia

Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli

anno 2 numero 3 1998

Il filo rosso che unisce nonni e nipoti di Ada Fonzi

Quel legame fra crescita e invecchiamento di Luca Tafi

L’ormone della crescita nei bambini normali di Ivan Nicoletti

Quando non si può vivere in famiglia di Luigi Goffredi

Il rapporto fra nascita e pubertà di Gherardo Rapisardi

Il malato “fatto a pezzi” di Mimma Rolla e Deanna Belliti

Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli

anno 2 numero 4 1998

Cresce meglio chi è amato davvero di Adolfo Pazzagli e Benedetta Guerrini Degli Innocenti

Anche l’obesità è regolata da geni specifici di Sergio Bernasconi, Katia Rossi, Lorenzo Iughetti

Come prevedere la statura adulta di Ivan Nicoletti

I danni mentali dell’abuso infantile di Graziano Graziani

L’elefante invisibile e i cacciatori di teste di Giuseppe Mantovani

Una malattia reale e un aggettivo di fantasia di Emiliano Panconesi

Note per la nuova famiglia

Il “cittadino non nato” di Luciano Martini

anno 3 numero 1 1999

Droghe, dagli anni sessanta ad oggi di Giuseppe Mercuriali

Come riportare all’aperto i bambini di Luciano Martini

Media statistica e realtà auxologica di Ivan Nicoletti

Piano d’azione per l’infanzia di Paolo Onelli

Allergie e intolleranze alimentari nell’infanzia di Alberto Vierucci

Padre e figlio: teatro, musica rock, computer intervista di Italo Dall’Orto al figlio Giovanni

Benedetto chi ti porta maledetto chi ti manda recensione

La parola ai giovani a cura di Lodovico Benso e Antonella Massia

Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli

anno 3 numero 2 1999

Educazione e sviluppo della sensibilità estetica di Graziella Magherini

La statura nel XXI secolo di Silvano Milani

I dolori addominali ricorrenti nel bambino di Monica Pierattelli

Affido familiare di Mara Giulietti

Una scuola per famiglie affidatarie di Luigi Goffredi

“Tabacco o salute” di Ivan Cortinovis

Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli

anno 3 numero 3 1999

Latte materno e salute dell’uomo di Gherardo Rapisardi

Malessere dell’infanzia e mondo dei grandi di Luciano Martini

Classici dell’auxologia di Lodovico Benso

La crescita di sei gemelli dalla nascita ai vent’anni di Gian Paolo Donzelli e Ivan Nicoletti

Sviluppo prenatale: la fase più importante della vita di Horacio Lejarraga

Chiarimento e immagini di sé di Rodolfo Fiesoli

La parola ai giovani a cura di Lodovico Benso e Antonella Massia

Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli

anno 3 numero 4 1999

La scuola e il disagio editoriale

Progetto genoma e cure genetiche di Francesca Torricelli

Il rapporto tra fratelli nella formazione del carattere di Francesco Carnaroli

Allattamento materno di Gherardo Rapisardi

Affidamento familiare: l’esperienza statunitense di Joan Vavrek

Osservare per prevenire e curare di Tito Baldini

I dieci “pezzi” amabili di Stefano Bolognini di Graziella Magherini

Schede per l’orientamento sportivo di Marco Petranelli

Il Giornale di aprile-giugno 2000

Indice

Il bambino DAI: diagnosi e cura di Franco Gallucci

Identità sessuale e identità di genere di Franco Bruschi e Laura Mori

Segni premonitori dei disturbi di apprendimento di Antonella Ciardi

Modello a 3 cicli di Ivan Nicoletti

Nuovi orientamenti dell’affidamento negli USA di Joan Vavrek

Dalla mano al computer di Ivan Cortinovis

Schede per l’orientamento sportivo: rugby di Marco Petranelli

L’Articolo:

FORMAZIONE E DISTURBI DELL’ IDENTITA’ DI GENERE NEL BAMBINO E NELLA BAMBINA

Franco Bruschi e Laura Mori

“Mi odio. Non voglio essere me. Voglio essere qualcun altro. Voglio essere una bambina”. Queste frasi pronunciate da un piccolo paziente di tre anni, in consultazione presso un Centro per lo Sviluppo dell’Identità di Genere, ci sembrano esprimere l’acuto stato di sofferenza e di spaesamento, simile alla “tristezza” di vivere all’estero degli emigrati, provato dai bambini che soffrono di quello che, a partire dagli anni ’80, è entrato nella classificazione psichiatrica ufficiale come Disturbo di Identità di Genere nell’infanzia.

Prima di addentrarci nell’attualità del problema ci sembra interessante notare come la difficoltà della scelta sessuale sia descritta fin dall’antichità. Possiamo ricordare, ad esempio, la drammaticità del dover rinunciare alla completezza sessuale espressa nel mito dell’androgino nell’antropologia fantastica del Simposio di Platone, dove gli androgini sono rappresentati come esseri sferici bisessuali. Un loro eccesso di superbia fece sì che gli dei, per punirli, li dividessero in due: “Ognuno di noi è dunque la metà di un umano resecato e mezzo com’è al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però sempre è in cerca della propria metà….”. Così Platone raccontava la differenziazione sessuale. Anche nel mito di “Tiresia e i serpenti” secondo Apollodoro il problema alla radice è un attacco di rabbia, una sensazione impotente di non poter riconoscere nella coppia, nel viluppo dei serpenti, chi penetra e chi è penetrato, chi contiene e chi è contenuto, chi è dentro e chi è fuori. Che una separazione sia all’origine della differenziazione sessuale è d’altronde presente anche in ambiti culturali diversi e la testimonianza che ne fa la Bibbia nella creazione-nascita di Eva dalla costola di Adamo ne è un esempio.

L’attualità di questo tipo di disturbo è collegabile ai mutamenti culturali nella nostra società che ci hanno reso consapevoli dell’incremento del numero di persone che fin dall’infanzia soffrono di problemi di identità di genere, che una volta erano considerati rari e analizzati solo in ambito psichiatrico.

E’ stato lo psicoanalista americano R. Stoller, che sin dagli anni sessanta ha iniziato a studiare bambini transessuali e adolescenti con errata attribuzione di genere alla nascita, a postulare l’esistenza della identità fondamentale o nucleare di genere (core gender identity) e a definire l’identità di genere come l’acquisizione conscia e inconscia di appartenere al proprio sesso e non all’altro. Si tratta cioè di un sistema complesso di credenze riguardo a se stessi: una percezione della propria mascolinità o femminilità. L’identità di genere è distinta dal ruolo (o scelta) di genere (gender role) che è costituito dall’assunzione di quei comportamenti che ogni società attribuisce ad un sesso piuttosto che ad un altro.

Come si forma l’identità di genere? Sono coinvolti vari fattori genetici e ambientali, intrapsichici e relazionali:

1. le disposizioni innate a livello cromosomico ed endocrinologico, tenendo però presente che è l’interrelazione tra tali forze biologiche e i fattori ambientali che determina il comportamento;

2. l’assegnazione del sesso alla nascita in base all’aspetto dei genitali esterni ;

3. le differenze comportamentali innate legate al sesso;

4. le sensazioni corporee del bambino, soprattutto a livello delle zone genitali.

Atteggiamento dei genitori.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto, fin dal primo riconoscimento (o dall’assegnazione) dell’identità sessuale del bambino, i genitori provano sensazioni differenti riguardo ad un neonato maschio o ad una neonata femmina.

Possiamo dire che l’identità di genere inizia con una preconcezione nella mente dei genitori, dipendente dalla loro personalità, dalla loro relazione, dalla composizione della famiglia, dalle loro aspettative e che influenza l’atteggiamento nei confronti del nascituro ed il ruolo che assegneranno al suo corpo e al suo genere.

Lo psicoanalista francese André Green (1985) considera l’attribuzione inconscia di un sesso al bambino da parte dei genitori come il primo tra gli organizzatori dell’identità sessuale. Tale attribuzione è strettamente collegata alle dinamiche della coppia. Ad esempio la nascita di un bambino con una malformazione dei genitali impone ai genitori di tollerare l’ambiguità del genere sessuale, e può venire a mancare il normale processo di rielaborazione del proprio ruolo sessuale che si svolge in entrambi i coniugi quando diventano genitori.

Dopo la nascita sono di primaria importanza gli atteggiamenti e investimenti, soprattutto materni, nei confronti del sesso del neonato. La funzione che la madre assegna al proprio corpo, e alla propria sessualità nei confronti di se stessa e degli altri, e il ruolo che lei stessa assegna al corpo ed al sesso del bambino sono fattori determinanti nello sviluppo dello schema corporeo, dell’identità di genere e delle relazioni oggettuali del bambino. Simona Argentieri (1995) osserva come l’identità di genere sia basata su profondi vincoli tra mente e corpo ed è possibile osservare come determinate aree del corpo acquistino un senso mentale soprattutto in ordine alle stimolazioni che ricevono.

Secondo la moderna Infant Research esistono etichette inconsce (unconscious labels) che trasmettono, in modo molto sottile, in ogni interazione, il vissuto del padre e della madre riguardo alla femminilità o alla mascolinità (il modo di maneggiare – handling – il bambino, il tono della voce, il ritmo ecc).

I lavori ormai classici di M. Mahler e coll. (1975) e di Ph. Greenacre (1950) sulle modalità con cui – attraverso il contatto fisico con la madre – il bambino e la bambina pervengono ad una percezione di sé come essere dotato di un corpo e di un corpo sessuato, hanno evidenziato l’importanza che la percezione del proprio Sé corporeo assume nell’acquisizione del sentimento di identità. Essa viene attivata dal contatto fisico, tattile con la madre, e tutto lo sviluppo del bambino procede attraverso la separazione-individuazione dalla madre stessa. La Mahler descrive come il processo di separazione-individuazione sia difficoltoso e come il bambino e la bambina tendano a ritornare nell’orbita materna, vivendo in maniera conflittuale la percezione della propria indipendenza e il desiderio di ristabilire la fusionalità originaria. L’inizio della percezione dell’identità sessuale avviene, secondo la Mahler, nella fase in cui il bambino sperimenta in modo particolarmente acuto questo conflitto.

Criteri diagnostici del Disturbo di Identità di Genere nell’infanzia

Distinguiamo, quindi, l’identità di genere dalla identità sessuale, e vediamo come si può diagnosticare un disturbo di identità di genere nell’infanzia (D.I.G.)

Tipicamente il D.I.G. nell’infanzia si manifesta per la prima volta in età pre-scolare, e comunque, per porre questa diagnosi, deve essere stato evidente prima della pubertà. La letteratura che riguarda l’eziologia psicologica focalizza l’attenzione sul periodo pre-edipico, fra i 18 e i 36 mesi. Le prime manifestazioni cliniche compaiono fra i due e i tre anni e sono ben stabilizzate nel periodo edipico. Ciò che è compromesso è il ruolo (la scelta) di identità di genere (gender role): il bambino sa di essere maschio o femmina ma rifiuta l’appartenenza al suo genere e desidera, in maniera intensa e persistente, di essere del sesso opposto a quello anatomico, così come presenta rifiuto del comportamento, degli attributi e/o degli abiti del proprio sesso anatomico.

La diagnosi di D.I.G. nell’infanzia si basa su una profonda alterazione del normale senso di mascolinità o femminilità. Un semplice “comportarsi da maschiaccio” nelle bambine o un “comportamento effeminato” nei maschietti non è sufficiente. In rari casi, in entrambi i sessi vi può essere un rifiuto delle strutture anatomiche del proprio sesso. Il comportamento dei bambini con un D.I.G. non è analogo ad un comportamento transessuale. Il bambino, infatti, non si comporta esattamente come una femmina della sua età, ma propone una sua idea stereotipata di come può essere una femmina.

Mentre è raro un quadro completo e stabilizzato del D.I.G., è più comune la presenza di alcuni tratti o aspetti, più o meno transitori, nel comportamento del bambino. Spesso sono associate altre difficoltà emozionali e comportamentali. Studi catamnestici recenti indicano come, a lungo termine, il risultato più comune sia l’omosessualità o la bisessualità. Pochi bambini diventano transessuali o travestiti; solo alcuni eterosessuali.

Dal punto di vista psicodinamico, finora non è stata trovata con certezza nessuna causa singola dello sviluppo di un D.I.G. Abbiamo visto che al costituirsi dell’identità di genere concorrono fin dalle primissime fasi della vita una serie di fattori, sia biologici sia relazionali, e complessi processi interattivi, in gran parte inconsci e non verbali. Ad essi si aggiungono gli aspetti fantasmatici sia dei genitori che del bambino, in una trama spesso inestricabile. L’ipotesi più plausibile, su cui concordano quasi tutti gli studi più recenti, sembra sia quella di una eziologia multifattoriale che rende problematica l’identificazione del bambino o della bambina al suo sesso. Un significativo numero di disturbi di identità di genere nei bambini e nelle bambine ha una storia precoce di separazione traumatica o di indisponibilità materna. Di particolare importanza anche il fattore etiologico di una depressione materna. Sono ricorrenti in questo disturbo particolari costellazioni familiari caratterizzate da depressione, incapacità ad elaborare la perdita e il lutto, forti disarmonie coniugali, difficoltà riguardo al proprio genere sessuale e altro. Queste esperienze dei genitori possono venire internalizzate dal bambino e rappresentare elementi traumatici (dimensione transgenerazionale).

Alcuni autori (Coates et al., 1991) concorderebbero sul fatto che è necessaria la copresenza di molti fattori nel periodo pre-edipico per produrre un chiaro disturbo di identità di genere. Questo spiegherebbe anche la rarità di questa patologia. L’intenso e persistente desiderio di essere del sesso opposto rappresenterebbe così una soluzione a conflitti che risultano dai compiti contemporanei ed intrecciati dello sviluppo del periodo dai 18 ai 36 mesi: separazione-individuazione, definizione del genere (consolidamento dell’identità di genere, differenza del genere, apprendimento del ruolo di genere), e gestione dei derivati della fase anale, dell’aggressività e dell’ambivalenza. E’ stata suggerita una relazione fra la consapevolezza della separazione dalla madre e la reazione del bambino alle differenze dei genitali: più difficile e’ il processo di separazione-individuazione, maggiori saranno le reazioni del bambino alle differenze dei genitali. Il disturbo dell’identità di genere tende a configurarsi come un disturbo difensivo rispetto ad ansie di separazione.

I lavori scientifici sui disturbi di identità di genere riguardano soprattutto i maschi; pochi sono i lavori riguardanti le bambine: non sappiamo se la ragione è una minor frequenza del disturbo nelle bambine oppure se questo disturbo sia meno allarmante a livello sociale. Viene dato per scontato che la bambina soffra per l’invidia del pene e che in alcune fasi della sua vita aspiri ad essere un maschio. Può darsi che la minore casistica femminile sia legata alla minore preoccupazione che suscita nei genitori, negli insegnanti ecc. una bambina che desidera essere maschio e si comporta come tale, che non un bambino che desidera essere femmina e assuma comportamenti femminili.

Vorremmo concludere sottolineando come, al di là della sofferenza e della fragilità interiori di questi bambini (rilevabili a volte soltanto nell’indagine psicodiagnostica e nel rapporto psicoterapeutico), questo è un disturbo che coinvolge (e sconvolge) tutta la famiglia – fatto questo che costituisce un “trauma aggiuntivo” a questi bambini e dà spesso un carattere di urgenza alla richiesta di aiuto e di intervento da parte dei genitori. Un interessante film del regista Alain Berliner, La mia vita in rosa (Ma vie en rose, 1997) illustra bene il coinvolgimento e lo sconcerto che un bambino con un disturbo di identità di genere può provocare nell’intera famiglia e nell’ambiente circostante (scuola e vicinato) con il rischio di aggravare la solitudine e il senso di diversità del bambino, orientandolo verso una stabilizzazione del disturbo. Per questo motivo, secondo la nostra esperienza, è importante farsi carico terapeuticamente anche dei genitori, per assicurare loro uno spazio per pensare ai propri problemi come coppia e come genitori.Questo nell’ottica di non focalizzarsi sul sintomo ma di allargare la visione dei problemi relazionali con il figlio. Spesso lo stesso psicoterapeuta del bambino si occuperà anche dei genitori, qualche volta un altro psicoterapeuta.

Gli scopi e i modelli terapeutici da seguire ci sembrano i seguenti: 1. E’ importante aiutare i genitori a riconoscere e accettare il problema di identità di genere nel loro bambino, rompendo quel “circolo di segretezza” che di solito circonda questo tipo di problemi e di cui anche il bambino è vittima. 2. Data l’eziologia multifattoriale del disturbo, è importante promuovere una stretta collaborazione tra professionisti con diversi approcci, includendo il pediatra. 3. Non affrontare direttamente il disturbo di identità di genere come obiettivo terapeutico principale, ma aiutare il bambino e la famiglia ad elaborare processi di lutto, di perdita e di separazione (quelli reali e quelli simbolici), aiutandoli anche a tollerare incertezze, differenziazioni e cambiamenti. 4. Infine è di primaria importanza occuparsi del ruolo paterno, promuovendo la funzione “di cerniera”, di terzo, tra bambino e madre, creando uno spazio in cui crescere e differenziarsi. E’ da questa situazione tridimensionale che si può sviluppare la funzione simbolica del pensiero.

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Abstract

L’articolo tratta della distinzione fra identità sessuale e identità di genere. Quest’ultima viene anche denominata identità fondamentale o nucleare di genere. L’identità sessuale è successiva all’identità di genere. Questa si sviluppa fin dall’inizio della vita in seguito all’influenza di vari fattori genetici e ambientali, intrapsichici e relazionali; si stabilisce lentamente e gradualmente entro i primi due anni di vita, e si stabilizza in maniera irreversibile intorno ai tre-quattro anni.

L’identità di genere è l’acquisizione conscia e inconscia di appartenere al proprio sesso e non all’altro. E’ un sistema complesso di credenze riguardo a se stessi: una percezione della propria mascolinità o femminilità.

L’identità sessuale è un affinamento successivo del senso elementare di appartenenza a un genere; è un’elaborazione dei concetti di mascolinità e femminilità (di fronte alla semplice appartenenza al genere maschile o femminile). L’identità sessuale attiene quindi al livello delle vicissitudini pulsionali, con le necessarie componenti istintuali, da cui deriva l’agire, o il non agire, il comportamento propriamente sessuale.

La distinzione identità di genere e identità sessuale ha notevole rilevanza clinica.